In Italia se ne parla molto poco, ma secondo i dati dell’Istituto Superiore della Sanità, circa una persona suicida su 3 ha un’età maggiore di 70 anni e in termini relativi, i suicidi rappresentano lo 0,2% del totale delle morti tra gli italiani ultra settantenni.
Dietro le statistiche, molto spesso, esiste una patologia depressiva, che è rimasta inascoltata e che ha inficiato per anni, in modo acuto o cronico, la qualità della vita di queste persone. A livello clinico si aprono molti interrogativi su quali siano i fattori di rischio e su quale protezione i servizi possano offrire, sia a livello medico e psicologico sia a livello sociale. Di certo un punto importante è la comprensione dei vissuti soggettivi di dolore, della fatica del vivere, della sensazione di impotenza e inefficacia percepiti troppo spesso dalla nostra popolazione anziana. Troppo pochi rimangono i centri dedicati e i progetti di prevenzione; le famiglie stesse, impegnate nella gestione della propria quotidianità, tendono a prestare scarsa attenzione ai segni, sovrastimando a volte l’autonomia e la forza dei cosiddetti anziani e negando i primi sintomi di disagio, di difficoltà nella memoria o nel pensiero. Di contro molti ultra-settantenni con varie patologie sono spesso accuditi dai familiari e dai medici con grande cura ma solo dal punto di vista organico, quasi non ci fosse spazio per l’ascolto della tristezza, della sensazione di pesare sulla famiglia, dei pensieri ossessivi di non farcela a sopportare il dolore, quasi come non ci fosse spazio per elaborare una giusta rabbia derivante da una condizione di inabilità, dopo una vita attiva e produttiva.
Se da un lato non dobbiamo cadere nel pregiudizio di vedere l’età senile come un bacino di infelicità e depressione, dall’altro non si può cadere in un sistema di cure semplicista. I soli antidepressivi ad esempio non sono efficaci se non si crea un contesto familiare e sociale di sostegno all’anziano, se non si trova il modo di riattivare una creatività dimenticata, un’energia vitale. Alcuni miei pazienti ultra-settantenni, per fare un esempio, hanno una vera necessità di rielaborare la loro storia di vita, di esprimere la tristezza senza essere giudicati, di perdonarsi, di lasciare andare alcuni episodi del passato e infine di trovare nuove strategie di relazione e comunicazione con figli e nipoti. Altri hanno invece necessità di contrastare il dolore cronico, gli esiti fisici delle malattie invalidanti e sopportare al meglio il senso di inutilità che sentono dentro di loro, trovando nuove strade e nuova autostima, accettando un corpo che non è più quello che avevano prima.
Ecco che la complessità insita alla questione inizia a svelarsi. In ottica antropologica diventare anziano equivaleva ad essere il saggio, il capo tribù, la persona che sapeva dispensare consigli, lo status sociale aumentava e si acquisiva un nuovo potere. L’anziano-saggio comunicava attraverso il racconto, la storia e i simboli. In ottica psicologica invece, lungi dal solo decadimento cognitivo, invecchiare è l’autunno della vita e significa simbolicamente ritirare energie dal sociale, dagli obblighi verso i figli piccoli, dal lavoro duro e ripiegarsi invece sul Sè, sulla ricerca intima e spirituale, sul tempo che scorre con lentezza e in ricerca dei propri interessi. Nella società che abitiamo oggi, invece, ciò che è vecchio va sostituito, tutto gira veloce e in modo tecnologico, social. Non è permesso a tutti di adattarsi ai cambiamenti. I racconti degli anziani non interessano più, nemmeno la loro saggezza, insieme ai simboli e ai racconti rischiamo di perdere anche le nostre radici, il nostro passato. Si pensi quale difficoltà possono incontrare oggi anziani costretti a consultare mail, a prenotare visite on line, a pagare alcuni servizi autostradali. Si resta esclusi, senza le parole giuste da dire, arretrati, tagliati fuori, inutili, oppure si chiede aiuto a figli e nipoti, con la paura di disturbare, di sentirsi sgridare, di non essere aggiornati e all’altezza. Proprio questa paura del giudizio troppe volte fa sì che non si chieda aiuto per sintomi depressivi o problemi psicosomatici. In famiglia si tende a minimizzare, a interpretare i sintomi come bisogno di attenzione o come una lamentala da bambini. Molte persone anziane provano vergogna, non sanno a chi rivolgersi, non conoscono gli specialisti e non sanno come accedere ai servizi. Il medico di base è di solito il primo baluardo, ma non sempre il supporto psicologico è accettato dai pazienti, proprio a causa dei sentimenti di vergogna e paura. In effetti i sintomi depressivi legati all’insorgenza di depressione in età senile non sempre sono di facile riconoscimento data l’eterogeneità, soprattutto se si innestano su patologie organiche pre-esistenti come diabeti, problematiche cardiache, tiroidee, autoimmuni, degenerative etc…A livello sintomatologico non sempre si esprime pienamente tristezza, ma possono essere presenti disturbi dell’umore, irritabilità, tendenza al pianto, disturbi del sonno, lamentele somatiche di vario tipo, disturbi gastrointestinali, vertigini, pensieri ossessivi di colpa o pensieri legati all’ipocondria. Spesso l’anziano infatti concentra le sue preoccupazioni sul corpo, trascurando i sintomi affettivi. Un’altra peculiarità della depressione senile è la presenza di sintomi cognitivi quali difficoltà attentive, mnestiche con ridotta efficenza intellettiva e rallentamento del pensiero, tipici della demenza. Sono presenti anche sintomi comportamentali legati a espressione improvvisa di rabbia, o recriminazione.
Mentre l’invecchiamento è una parte inevitabile della vita, la depressione, la sensazione di impotenza, la paura di essere un peso e l’isolamento sociale non dovrebbero farne parte. I ricercatori sono concordi nell’affermare che effettuando un rapido riconoscimento e fornendo un valido trattamento si possano evitare situazioni al limite del suicidio in età senile. La popolazione invecchia velocemente e il problema necessita di essere studiato dagli specialisti e dai politici in un’ottica di complessità, dato l’intrecciarsi di fattori biologici, sociali, psicologici e culturali.
Infine alcuni consigli: siate consapevoli dei limiti fisici delle persone anziane, invitateli a consultare uno specialista in caso rifiutino il cibo, si chiudano in casa e in loro stessi o manifestino tristezza e/o collera eccessive. Incoraggiateli al dialogo e al confronto, create occasioni per riunire la famiglia e rispettate i loro tempi, le loro idee e le loro abitudini quotidiane, in fondo ci hanno messo tutta la vita a crearle. In particolare siate di supporto ma con diplomazia e pazienza dato che una persona anziana con scarsa autostima potrebbe interpretare i consigli e gli stimoli come critiche o come conferma del suo senso di inutilità o impotenza.
Uno psicologo potrebbe aiutare famiglia e amici a sviluppare tecniche positive di comunicazione e di ascolto con l’anziano, favorendo strategie utili di collaborazione, migliorando la resilienza del sistema e in ultimo fornendo spazi di supporto per i parenti che prestano le cure, caricandosi spesso di stress ed emozioni negative. Non abbiate timore di chiedere, i professionisti competenti ed esperti sono disposti anche a sedute domiciliari in caso di grave disagio dell’anziano o di problemi di mobilità.
Dott. Roberta Monica Gorla